La Peste del 1656

Nessun evento cambiò il volto e la storia di Napoli come la tremenda epidemia del 1656. L’intera vita della città, nei suoi aspetti più quotidiani, economici e sociologici, fu stravolta dalla potenza di un morbo che parve ai contemporanei come il flagello divino annunziante la fine dei tempi. Sotto l’impatto dell’onda nera che travolse gli argini e le sicurezze di una città all’apice della propria espansione e della propria fama, rimasero sepolte le vite, le preoccupazioni, le vicende note e sconosciute di migliaia napoletani protagonisti di quel terribile 1656.

I giornali copiapolizze degli otto antichi banchi napoletani restituiscono ogni particolare di quei giorni. Tutto inizia ai primi caldi di una primavera fattasi troppo afosa. Le prime morti scatenano la reazione tardiva e angosciata delle autorità…

7 giugno, ducati 15,20 per il prezzo di ferri lavorati consignati nel lazzaretto di San Gennaro per servitio delli chirurghi e barbieri

8 giugno, ducati 110 ad Agostino Baratto, medico chirurgo, il quale è entrato nel lazzaretto di San Gennaro a medicare l’infermi

Medici e barbieri vengono inviati nei lazzaretti sorti nella basilica di San Gennaro fuori le mura e presso l’isola di Chiuppino, ora scomparsa, poco distante da Nisida. Le transazioni economiche di quei mesi richiamano le linee macabre e concitate dei quadri di Micco Spadaro. Pattuglie di soldati mettono in quarantena la capitale del Mezzogiorno e battono freneticamente le strade per ripulirle dai corpi di chi, fatalmente, viene colto dalla morte lontano dalla propria dimora.

16 giugno, ducati 20 ad otto soldati che haveranno da battere la strada da Porta Capuana a Porta Nolana, acciò li cadaveri si portino nelli luochi stabiliti e non si lascino per le strade.

3 luglio, ducati 100 per aver fatto stampare 150 banni che non escano robbe da Napoli, 100 banni che non si venda acqua per Napoli, 150 banni che l’infermi del corrente male non escano dalle loro case, 3000 voti fatti alla Santissima Concettione di Maria Santissima Vergine

Gli impiegati dei banchi, a diretto contatto con un pubblico che ormai è sinonimo di sicuro contagio, vengono falcidiati dalla peste nera. Eppure le scritture, oggi custodite presso l’archivio storico, continuano. Annotano, con febbrile insistenza, giorno dopo giorno, gli acquisti e le transazioni che
ancora animano il volto stravolto della città.

24 luglio, ducati 13,30 pagati ai beccamorti per far seppellire il cadavere del fu Andrea Cannavale, morto in tempo di peste dentro nostro Monte

Infine, con il terminare del caldo e lo scemare di quell’estate bollente, il morbo ritirò lentamente le sue grinfie dai vicoli e dalle piazza, lasciando dietro di sé i corpi e le vite infrante di circa duecentomila napoletani. Quando la mortale marea si ritira i sopravvissuti, attoniti dall’orrore che li
ha sfiorati, si prodigano in grandi opere votive. Al celebre pittore Mattia Preti è dato il compito di onorare la Madre di Dio, salvatrice di Napoli, affrescando ogni porta della città con immagini votive.

27 novembre, ducati 200 per il cavalier Mattia Preti che in honore delle Regina del Cielo si pintasse sopra le porte di questa città l’immagine della sua purificatione et Immaculata Concettione