IL CIMITERO DELLE 366 FOSSE
Poco distante dall’ospedale degli Incurabili, alla cui storia è strettamente legato, sorge il cimitero detto “Lo Tridici” o delle 366 fosse. Quest’opera, sconosciuta ai più, fu realizzata nel periodo aureo dell’illuminismo napoletano e anticipò di circa quarant’anni l’editto napoleonico di Saint Claude (1804), inaugurando l’usanza di collocare i cimiteri oltre il perimetro delle mura cittadine.
Poco distante dall’ospedale degli Incurabili, alla cui storia è strettamente legato, sorge il cimitero detto “Lo Tridici” o delle 366 fosse. Quest’opera, sconosciuta ai più, fu realizzata nel periodo aureo dell’illuminismo napoletano e anticipò di circa quarant’anni l’editto napoleonico di Saint Claude (1804), inaugurando l’usanza di collocare i cimiteri oltre il perimetro delle mura cittadine.
I documenti dell’archivio storico del Banco di Napoli raccontano la costruzione ed il finanziamento del cimitero, dalla commissione a Ferdinando Fuga sino alla costruzione dei cancelli in metallo.
ducati 250 a mastro Nicola Ametrano in conto di lavori di ferro consistentino in cancelle di ferro con loro telari attorno, occhi a coda di rondine, grappe ed altro
Le storie di coloro che trovarono la loro sepoltura nell’innovativo camposanto napoletano si intravedono nelle descrizioni del pagamento effettuati per completare le tombe e l’argano in metallo necessario per “aprirle” e per calarvi dentro le salme.
1763, ducati 5 al falegname Antonio Daniele per conto di una barra lunga, un tavolone di castagno ed altro legname per formare il trepiede per alzare li bastelli delle sepolture del Camposanto e ducati 11,48 al ferraro Michele Mirone per ferro per detto trepiede
Trecentosessantasei fosse, tante quanto i giorni di un anno, considerando anche la possibilità di un bisestile, per un numero incalcolabile di corpi provenienti dal vicino ospedale degli Incurabili. La numerazione giornaliera, apposta su ciascuna delle lapidi secondo un rigido ordine cronologico, consentiva, conoscendo solamente il giorno del decesso, di poter almeno individuare, in quella “bizzarra fossa comune” il luogo in cui il proprio caro riposava e in quel punto preciso raccogliersi in preghiera.
Dimenticato dai napoletani sconosciuto o quasi a turisti esso segna il punto più alto del sogno borbonico di voler regolarizzare ogni aspetto della vita dei loro sudditi, cosi come essi l’avevano pensato. Perfino la morte, nelle mire illuministiche di Carlo III, avrebbe dovuto trovare un proprio ordinato confine, un ordine entro cui inquadrarsi. Il cimitero delle 366 rimane un patrimonio dell’architettura settecentesca e una testimonianza della Napoli capitale che le scritture dell’archivio storico aiutano ad inquadrare nella sua evoluzione e a riscoprire.