IL VICOLO
di Claudia Cuomo
Terminato il lavoro, gli fu permesso di uscire. Era agosto, la peste aveva mietuto tantissime vittime e ormai era in fase calante. Girando tra le strade trasformate dalla sofferenza, Belmonte sentiva solo un tanfo di morte. Si fermò all’inizio del vicolo. Fu investito da un silenzio irreale. Appoggiò le spalle al muro di un palazzo e chiuse gli occhi. Nella sua mente risuonavano le voci, le luci i colori che la peste aveva spento per sempre. Gli sembrò di sentire dei passi pesanti, poi l’eco divenne sempre più forte. Aprì gli occhi, Cicciogrillo era davanti a lui. Allungò il braccio e lo toccò per accertarsi che non fosse frutto della sua fantasia. Non dissero niente. Cominciarono a camminare guardandosi intorno. L’osteria era chiusa da una grossa catena e l’insegna era annerita da residui di fumo nero. Arrivarono davanti all’uscio di quella che era stata la casa di Belmonte, su cui spiccava una croce di pittura bianca. Belmonte si fermò e dopo qualche istante cominciò a prendere a pugni la porta, sempre più forte, fino a farsi sanguinare la mani. Poi si coprì gli occhi e poggiando il viso su un muro pianse tutte le lacrime che non era riuscito a tirare fuori fino a quel momento. Cicciogrillo aspettò che uscisse tutto il dolore, poi a fatica lo trascinò via e ripresero il cammino. Arrivati nella zona del porto videro corpi ammassati e becchini che trascinavano morti sui carretti. C’erano alcuni con gli occhi sbarrati che gridavano come matti e altri che girovagavano, silenziosi, con lo sguardo perso nel vuoto. […]